martedì 20 aprile 2010

Le monache del Monastero cistercense di Valserena: «Noi, una vita in preghiera per il Pontefice» (Corradi)


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«Noi, una vita in preghiera per il Pontefice»

DI MARINA CORRADI

Ogni domenica al termine della adorazione eucaristica cantano in gregoriano: «Oremus pro Pontifice nostro. Dominus conservet eum et vivificet eum et beatum faciat eum in saecula et non tradat eum in animam inimicorum eius». (Preghiamo per il nostro Pontefice perché Dio lo conservi e lo vivifichi e non lo consegni all’anima dei suoi nemici).
E dunque le 40 monache del Monastero cistercense di Valserena, nel Livornese, per il Papa e la Chiesa pregano sempre. Ma ieri, 19 aprile, tutta la giornata è stata dedicata a questa intenzione: «Un modo di partecipare insieme alla tribolazione del momento presente, e alla grazia che solo il momento presente contiene», dice madre Maria Francesca Righi, maestra di Monasticato. «Ma la nostra partecipazione a questo momento di sofferenza della Chiesa passa soprattutto attraverso la liturgia. Quella della Settimana Santa è stata particolarmente intensa, dalla lavanda dei piedi del giovedì con la processione al repositorio e l’adorazione, fino al silenzio del sabato che culmina nella veglia, con il fuoco acceso sotto le stelle e l’exultet che si alza come una esplosione di fede nel cuore della notte... E proprio il Venerdì santo il nostro anziano cappellano ha scritto una lettera semplice, ma di affezione sincera, al Papa. Poi anche noi gli abbiamo scritto. Ricordando ciò che Benedetto XVI aveva detto all’inizio del suo ministero: "Non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta". Ecco – abbiamo scritto al Papa –, noi non siamo sante, però vorremo dirle la nostra fede, l’obbedienza, l’affezione, la speranza che il suo pontificato guidi ancora a lungo la Chiesa».
E c’è una nota di tenerezza materna nella voce di madre Righi, quando sottolinea che Benedetto XVI ha 83 anni, «è anziano, e porta una croce così grande...». Cita quasi a memoria, la suora, una preghiera scritta dal Papa stesso, che le monache di Valserena amano recitare. Dice fra l’altro questa preghiera: «Concedici l’umile semplicità della fede che non si lascia fuorviare quando tu ci chiami nelle ore del buio, dell’abbandono, quando tutto sembra apparire problematico...».
Arrivano, in convento, solo Avvenire e l’Osservatore Romano, ma madre Righi in ragione dei suoi compiti legge gli altri quotidiani. «Ho trovato ignobili certi titoli che sembravano volere identificare la Chiesa con la pedofilia. Abbiamo letto in refettorio alcuni interventi e editoriali e ci siamo riconosciute nella lettera di Marcello Pera al Corriere della Sera, quando affermava che «ciò che è più grave in questa situazione di battaglia sono i cristiani che non capiscono».
Ma fra le trappiste quali commenti, quali parole ha generato lo scandalo della pedofilia? «La denuncia dei fatti irlandesi c’era già stata pubblicamente nel 2006. La lettera ai cattolici d’Irlanda è lettera penitenziale, e catechesi: comincia con la storia della Chiesa irlandese, ricca di gloria, e termina con una esortazione a non disperare della misericordia.
Il rigore della Chiesa per i suoi figli che mancano così gravemente è più che giusto – e di quel male fatto noi stesse proviamo un profondissimo dolore; ma è crudele e ingiusta la condanna generalizzata di un mondo che mentre stigmatizza chi cade, dall’altro lato esalta una mentalità che favorisce e incita quello stesso male. Sembra che il vero oggetto dello scandalo, più che il male compiuto da alcuni preti, sia un sottaciuto fastidio del bene che tanta altra parte della Chiesa fa. In ogni caso, fra noi, di tutto questo abbiamo riflettuto, ma parlato poco. Pregare è tanto più necessario che commentare».
Domenica a Malta il Papa ha pianto con le vittime degli abusi. «Comprendiamo fino in fondo il suo dolore e la sua vergogna. Che cosa è più sensato che piangere, davanti a un tale tradimento? Ma come Benedetto XVI ha detto, il naufragio è anche fonte di rinascita. A ricordarci che nessuno si salva da sé, ma chi ci salva è Cristo». Che cosa direbbe lei, suora di clausura, al Papa, se oggi lo avesse davanti? «Spiritualmente ce lo abbiamo davanti, sempre, nel cuore. Che cosa direi? Mi inginocchierei, gli bacerei le mani e gli chiederei la benedizione. Sarei così felice e grata che non potrei dire proprio niente».

© Copyright Avvenire, 20 aprile 2010

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